Fungotti

C’era una volta un bosco incantato. E’ così che comincia ogni favola.

Ma quella che io voglio raccontare non è una favola, anche se lo sembra. E il bosco non è un bosco incantato, ma un bosco normale come ce ne sono tanti. Io ora ci vivo. Conosco tutti i suoi abitanti, che non scappano più quando mi vedono.

La prima volta che ci sono entrata, è stato per rincorrere la palla, che sfuggitami di mano rotolava felice lungo il sentiero. Giù sempre più giù. E io dietro. Finalmente si ferma. Allungo la mano, per prenderla, la mia dispettosa amica, e sento “Ahi! Ma così mi fai male! Chi ti credi di essere?”. Non vi dico il mio spavento! Ritiro subito la mano. La mia palla parla, penso. La raccolgo, la giro e rigiro, ma nulla. Sarà il caldo? Ho avuto delle allucinazioni? … Non ci pensiamo più. Sono stanca. Mi siedo proprio dove l’avevo raccolta. Mi guardo attorno. Vicino a me c’era un bellissimo fungo rosso e giallo. Che sia stato lui a parlare? E’ impossibile! Mi metto carponi per terra, aguzzo lo sguardo, e meraviglia. Il fungo si muove. Vedo un esserino buffo e simpatico che mi fa strani segnali. Tendo la mano e lui trotterellando si arrampica su di essa. “Finalmente, dice, mi hai visto!”.

“Chi sei?” Dico io. “Sei vero? Non sei un allucinazione? Non sto sognando?”.

“Non stai sognando” fa lui, e per farmi capire che ero sveglia, mi fa il solletico con un filo d’erba che aveva in mano.

Non stavo sognando! Ero sveglia. Improvvisamente mi sentii felice di una felicità mai provata prima. Chi era quel piccolo essere per avere un potere così grande su di me? Quante domande mi si affollavano nella mente. Il cuore pulsava a mille. Avevo paura di parlare per non rompere quell’incanto. Chi ero io per aver avuto un simile privilegio? Più lo guardavo e più un fluido benefico mi inondava tutta. Fu lui a rompere l’incanto.

“Amica mia, disse, sono un folletto e precisamente il folletto dei funghi. Mi chiamo Fungotto. Non hai mai sentito parlare di me? Esisto dalla notte dei tempi. Credevi che fossi solo un’invenzione leggendaria?”.

“Io … io …” risposi balbettando, “ho sempre creduto, nella vostra esistenza! E pur non avendovi mai visto, ho avvertito continuamente la presenza di voi, piccoli abitanti della terra. Ti prego! Adesso, che finalmente non so per quale strano evento ti vedo vivo e reale, conducimi con te! Rimpiccioliscimi, se ne hai il potere, e portami nel tuo mondo, affinché possa raccontare a tutti, chi sei e come vivi! Voglio sapere tutto di te!”.

“Ma cara amica, tu non hai bisogno di essere rimpicciolita per visitare il mio mondo che poi è anche il tuo. Tu hai il raro potere di vedere al di là delle apparenze! Ti sei mai chiesta perché hai sentito sempre un bisogno vitale di andare in giro per i boschi? E perché in questo tuo peregrinare ti esaltavi alla vista di prati verdi? Alberi secolari? E persino di un banale cespuglio fiorito? Te lo dico io. Tu, anche se inconsciamente, ci sentivi, captavi la nostra presenza. Ed è per questo che ti sentivi felicemente, appagata. Quante volte, sei venuta nel bosco angosciata? Camminavi in silenzio, volevi stare sola con te stessa? Sgomenta sentivi le pulsazioni che mandava il tuo corpo, cercando così di capire la tua anima. Non sapevi però che la tua anima era già con noi, ci aveva cercato. E avendoci trovato era beata, solo guardando un albero, un prato o un cespuglio che sia. La tua anima ci vedeva ed era felice e tu con lei. Adesso che finalmente sai, siediti e guardati intorno. Guarda con gli occhi della tua anima, solo così potrai vederci!”.

Seduta per terra, ho seguito le istruzioni di quello strano essere, ho guardato aldilà di ciò che vedevo. Vicino a me non c’era solo un folletto, ma tanti altri, tutti mi facevano festa e battevano le mani. Ritto in mezzo a loro ce ne era uno tutto viola con un cappello viola con tanti puntini gialli. “Salve” mi disse “io sono il Fungotto narratore, a me tocca raccontarti la nostra storia.

Devi sapere che tanti e tanti secoli fa, quando il mondo era popolato più da maghi, streghe, nani, fate, che da uomini, in un piccolo villaggio viveva una famiglia di gnomi, Zoe e Victor. Erano sposati da poco, e non avevano avuto ancora piccoli. Zoe passava le sue giornate lustrando casa e accudendo il piccolo orto adiacente. Victor faceva il falegname e trascorreva il suo tempo, cercando legna per costruire mobili o oggetti, che poi donava a chi ne aveva bisogno. La loro casetta era sotto una zolla di terra, che era ai piedi di un grosso albero di quercia. Era una casa calda e accogliente, loro ci stavano bene. Il bosco gli forniva tutto quello di cui avevano bisogno. Vivevano bene poiché tra gli gnomi la povertà non esiste. Nessuno è ricco o povero. Si alzavano al sorgere del sole e si ritiravano al tramonto. La casa era rischiarata dalla luce che emanavano insetti simili alle lucciole. In inverno non soffrivano il freddo e d’estate il caldo, poiché le radici della grossa quercia mantenevano la temperatura costante. Come tutti gli gnomi Zoe e Victor sapevano suonare e cantare. Spesso venivano invitati alle feste che si tenevano nel loro villaggio o nei villaggi vicini. Tunnel sotterranei collegavano i vari villaggi tra loro. Zoe e Victor affrontavano anche lunghi viaggi, pur di stare insieme ai loro simili. I tunnel erano sicuri, la loro ubicazione era nota solo agli gnomi. Per prudenza una formica alata era di guardia ad ogni uscita ed entrata del tunnel. Gli gnomi per il loro carattere, non hanno nemici, eccetto i Troll. I Troll non amano nessuno, si divertano a rompere, schiacciando ogni cosa che capita loro a tiro, così per pura malvagità. Gli gnomi sapendolo, li temono e li tengono a debita distanza. Sanno che sono malvagi, ma stupidi. Inventare mille espedienti per tenerli lontani dalle loro case è compito dello gnomo guardiano, aiutato dalle formiche alate.

Il giorno del solstizio d’estate, tutto il bosco è in festa, gli gnomi aspettano tutto l’anno questo evento. Si preparano con mesi d’anticipo. Le gnome cuciono vestiti nuovi per tutta la famiglia, lo gnomo raccoglie erbe e radici dalle quali ricava un liquore che si beve solo in quel giorno. Le gnome da marito, raccolgono e intrecciano fiori, da donare al futuro sposo, che ricambia il dono con un anello nuziale. Tutti poi si scambiano doni, e, tra balli, musiche, e enormi mangiate, si aspetta il sorgere del sole. Victor e Zoe erano euforici, era il primo anno che partecipavano, da sposati alla festa del solstizio. Era dal mese di marzo che facevano preparativi. Zoe aveva confezionato per sé e il marito dei nuovi vestiti. Aveva fatto un regalino a tutti i componenti della sua numerosa famiglia. Era felice, pregustando le gioie dei fratellini. Victor dal canto suo, aveva raccolto radici, e bacche dalle quali ne aveva ricavato un liquore ed era tutto orgoglioso, sia del liquore, che del tino che aveva costruito, per contenerlo.

La sera era eccezionalmente calda. La festa si teneva nella solita radura del bosco. Per raggiungerla più facilmente, Zoe e Victor non presero il tunnel ma un’altra strada che costeggiando il lago era più fresca. Avevano discusso a lungo sull’opportunità di prenderla, Zoe era restia, aveva sentito che un Troll si aggirava da quelle parti, e poi lei aveva paura degli abitanti del lago. Ma Victor la rassicurava dicendo “Chi vuoi che venga ad importunarci? Siamo nella notte del solstizio d’estate! Tutti gli abitanti del bosco fanno festa!. Le strade sono piene di gnomi, fate, nessuno pensa, in una notte come questa, a fare del male al prossimo!”. E fu così che Zoe si lasciò convincere. Felici, con enormi gerle cariche di pacchi sulle spalle, tenendosi per mano si incamminarono. Il sentiero era rischiarato da una luna particolarmente luminosa. Il lago era tranquillo. Le fate ci danzavano sopra lasciando scie luminose. Sull’acqua galleggiavano le ninfee, adagiati su di esse, vi erano i piccoli delle fate, che si dondolavano felici, lanciando gridolini di gioia. Le Signore del lago emergevano belle e diafane cantando melodie struggenti. Tutto era perfetto. Improvvisamente si sentì un urlo agghiacciante, accompagnato da un rumore sordo, tutto cominciò a tremare. Zoe e Victor fecero appena in tempo a nascondersi nel tronco di un grosso albero e da lì guardavano atterriti.

Un enorme Troll avanzava, schiacciando ciò che incontrava lungo il sentiero. Era lui che faceva tremare tutto. Con gioia perversa, si accaniva sui fiori, anzi, più erano belli, e più li schiacciava. Dai fiori, poi passò alle bacche, alle more, ai funghi, in poco tempo schiacciò tutto. Non contento di ciò cominciò a buttare i resti della sua distruzione nel lago. In un momento tutto finì. Le fate sparirono, le signore del lago si inabissarono. Anche la luna scomparve. I due gnomi dal loro nascondiglio, guardavano terrorizzati dalla certezza che il Troll prima o poi li avrebbe fiutati. Improvvisamente sentirono un tonfo accompagnato da urla. Il Troll aveva colpito con un ramo una ninfea, che rivoltandosi, aveva fatto cadere in acqua i piccoli delle fate, che rischiavano di affogare.

Victor non perse tempo. Prese dalla gerla il tino, che conteneva il liquore e lo gettò ai piedi del Troll. Sapeva infatti, che ne sono molto ghiotti, e che lo avrebbe bevuto tutto, restando per un po’ di tempo neutralizzato. I piccoli, intanto urlavano chiedendo aiuto. Le loro ali si erano bagnate, erano diventate pesanti, non potevano volare, stavano affogando. Con la forza della disperazione, Victor si guardò intorno, lui non sapeva nuotare. Il lago era profondo, non c’era rimasto più nessun ramo intatto, da allungare ai piccoli, per farli aggrappare.

Era la fine. Zoe che gli era vicino, viveva anche lei il dramma, alzò gli occhi verso l’albero, e vide che proprio in alto, sul tronco c’era un grosso fungo. Non ci pensò due volte, si arrampicò su e lo colse. Mise il fungo sull’acqua e soffiando cominciò a spingerlo verso i piccoli. L’impresa era disperata, il suo fiato era troppo debole e non ce l’avrebbe mai fatta! Per uno strano mistero però, il fungo aveva capito la sua missione. Come se fosse dotato d’intelligenza, galleggiò dirigendosi verso i piccoli. Si rigirò e li raccolse tutti nel suo cappello, portandoli sani e salvi a riva. Il Troll intanto si era addormentato profondamente e per ora era innocuo.

In men che non si dica il lago si rianimò. Le fate si erano accorte della mancanza dei piccoli e disperate li cercavano. Erano accompagnate da miriade di lucciole, che illuminavano a giorno il sentiero. Finalmente individuarono gli gnomi e i piccoli addormentati nel cappello del fungo sani e salvi. La storia fece il giro del bosco. I piccoli salvati erano i figli della Regina delle fate. Con grande meraviglia Zoe e Victor videro la Regina scendere verso di loro e interrogarli.

“Ditemi piccoli gnomi, cosa è successo? E come mai i miei piccoli dormono nel cappello del fungo? Chi li ha salvati?”.

“Maestà” cominciò Zoe. “Noi abbiamo fatto tutto il possibile per salvarli, ma senza quel fungo i piccoli sarebbero morti”. Raccontò allora di come quell’essere brutto e insignificante, avesse capito la situazione, proprio come se fosse un essere pensante e intelligente, e con quanta delicatezza avesse raccolto i piccoli, e quasi cullandoli li avesse depositati a riva.

“Bene” disse la regina “e un anima avrà. Da oggi in poi, ogni volta che nascerà un fungo nascerà un folletto dei funghi. Sarà bello e colorato. Porterà gioia e fortuna. Sarà allegro, vivace, buono. Si chiamerà Fungotto. Voi gli gnomi vivrete con loro, in pace e armonia, vi aiuterete a vicenda, e mai nessun Troll verrà più nel vostro bosco. Enormi gabbie invisibili li cattureranno se oseranno disturbarvi. Cosi sia”. La regina detto ciò volò via portandosi dietro i piccoli ancora addormentati.

Zoe e Victor la seguirono con lo sguardo fino a quando non scomparve all’orizzonte. Erano frastornati ma felici. Capivano che la vita di tutto il bosco sarebbe cambiata! Ma fino a che punto e come? Il loro sguardo era rivolto ancora al cielo fisso sul punto ove era sparita la regina. Per questo non si accorsero che tutti gli abitanti del bosco erano sulle sponde del lago e che tutti guardavano quegli esserini nati dai funghi. I loro colori sgargianti mettevano buon umore, la loro allegria era contagiosa, il loro modo di parlare ricordava lontane melodie dimenticate. Tutti pensavano alle meravigliose storie che i nuovi amici I Fungotti avrebbero raccontato. E una grande felicità inondò tutti. La festa del solstizio d’estate si celebrò così sulle sponde del lago e durò più giorni perché c’era molto da festeggiare, e anche il sole voleva conoscere i nuovi arrivati.

Fu così che nacquero i Fungotti, da un atto d’amore. E amore, felicità e fortuna hanno sempre portato, non solo agli abitanti del bosco ma anche a chi a avuto la fortuna di sentirli o vederli, anche se solo con gli occhi dell’anima”.